Negli ultimi giorni si stanno leggendo molti articoli sulla manovra di Bilancio di prossima presentazione e votazione in Parlamento per l’anno 2025 con spunti davvero interessanti in particolare per quanto riguarda il welfare aziendale.
In primis, sul fronte dei fringe benefit, si dovrebbero riproporre le soglie di esenzione simili se non migliori a quelle del 2024 dove, in deroga al limite ordinario dei 258 euro annui per tutti, il tetto è stato innalzato a 1000 euro per tutti i lavoratori e a 2000 euro per chi ha figli. Vi sono comunque varie proposte, anche contrastanti, sul tema: sia di uniformare la soglia in modo generalizzato, e sia di legarla ai componenti del nucleo familiare.
Altro aspetto legato ai fringe benefit è che potrebbero aggiungersi i contributi versati alla sanità integrativa, pilastro a sostegno del SSN in crescente sviluppo.
Sul fronte invece della riduzione del cuneo fiscale dovrebbe essere confermato anche per il 2025 il taglio del cuneo contributivo di 7 punti per le retribuzioni fino a 25mila euro lordi annui e di 6 punti fino a 35mila euro. Normalmente tale riduzione incide per 80 / 100 euro netti in busta paga. Altra misura di sostegno ai redditi medio-bassi che sembra essere confermata è il taglio da quattro a tre delle aliquote Irpef.
Da interviste rilasciate dal Ministro del Lavoro Calderone dovrebbe essere riconfermata anche la tassazione al 5% per i premi di produttività entro i 3mila euro d’importo e per i redditi fino a 80mila euro, visto il successo della misura con numeri in crescita.
Non è chiara invece la sorte del bonus mamme, in scadenza a fine anno per le lavoratrici madri con almeno due figli. Tale misura, che riguarda circa 570mila lavoratrici, comporta la riduzione o l’azzeramento dei contributi a carico della dipendente fino al compimento del decimo anno del figlio più piccolo. Per le lavoratrici madri con almeno tre figli questo incentivo invece è triennale, con scadenza il 31.12.2026.
Infine altra tematica rilevante è costituita dall’Assegno Unico Universale: il 25 luglio scorso la Commissione UE ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea per il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori mobili di altri Stati membri e in particolare per alcuni requisiti considerati discriminatori previsti per l’Assegno Unico Universale (es. l’essere o essere stato in passato residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi).
Per risolvere la situazione creatasi a livello europeo la soluzione sarebbe quella di ritoccare i requisiti di accesso all’AUU in modo da allargare la platea dei beneficiari e rientrare così nei paletti imposti da Bruxelles. Una prospettiva, quella descritta, che richiede maggiori risorse pubbliche per far fronte all’aumento di coloro che percepiscono l’Assegno Unico.
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